mercoledì 3 maggio 2017

Resistenze

 
Qualcuno esprime un'opinione contraria alla tua, o nega la verità di qualcosa che hai affermato. E immediatamente devi dire la tua. 
 
Qualcuno scrive qualcosa su facebook, senti che per te non è così, che non sei d'accordo, e immediatamente passi al commento compulsivo. 
 
Qualcuno fa qualcosa che ti fa arrabbiare, ti irrigidisce, e tu passi in modalità reattiva nell'arco di un nanosecondo, perdendo qualsiasi punto di riferimento della tua centratura.
 
Il mondo ti provoca e tu reagisci immediatamente. 
 
Non hai il tempo di pensare, di staccarti da ciò che accade e di lasciar fluire. 
 
Non hai tempo di processare la reazione automatica e farla divenire risposta cosciente perché, fino ad ora, nessuno ti ci aveva fatto fare caso. 
 
E così il mondo continua a provocarti, attraverso istigazioni, seduzioni, ammiccamenti, lusinghe, e tu sei come una barca alla deriva, sballottata dal salire e scendere delle onde emotive, senza alcun controllo. 
 
Ci sono mille principii che difendi a spada tratta e che credi essere i capisaldi della tua 'personalità' i quali, ugualmente, funzionano da attivatori della reazione automatica. 
 
Ciò in cui credi. Le giuste cause. La giusta indignazione. La difesa dei tuoi valori e dei tuoi diritti. 
 
La tua storia personale che abbracci e coccoli come un prezioso cimelio, i tuoi principii spirituali. 
 
Potresti arrivare a immaginare di intraprendere un qualche tipo di percorso, iniziando la tua trafila di libri, pratiche, meditazioni, mantra, mudra, asana, preghiere, riti, incensini, e chi più ne ha più ne metta. 
 
Ti attivi e ti sbatti a favore e in difesa di tutto ciò, e questo ti porta via energia, tempo, risorse, e non sei un grammo più felice di quando hai iniziato a percorrere questa lunga e tortuosa strada. 
 
E poi arriva qualcuno, dall'altra parte della barricata che ti fa osservare che semplicemente puoi lasciar andare tutto questo ed essere pace, ti dice che c'è un altro modo di vivere, che puoi sperimentare una realtà priva di conflitto, sofferenza, priva di nemici e di proprietà da difendere. 
 
Ma devi abbandonare tutto questo. 
 
E tu recalcitri. Tu vuoi difendere il tuo terreno, le tue preziosissime opinioni. Vuoi difendere la tua rabbia, il tuo rancore, la tua giusta indignazione, combattere le tue sante guerre e percorrere le tue vie nel conflitto, nella separazione. 
 
E allora quel qualcuno dall'altra parte ti pone quella domanda apparentemente banale che inizia a scardinare la tua cosiddetta personalità a cui sei così tanto affezionato: "Chi sei tu? Chi è colui che combatte queste grandi cause?" 
 
E tu sarai tentato di dire 'IO', con la fierezza di un campione, tronfio delle sue conquiste. 
 
Quel qualcuno allora suggerirebbe guardandoti dritto negli occhi "... e se ti dicessi che quell'io non esiste ed è soltanto un'accozzaglia di forme pensiero, costrutti psichici e aggregati senza alcun significato? 
 
E se ti dicessi che per avere una vita priva di sofferenza è proprio quell'io che devi disgregare e abbandonare?" 
 
Tu allora diresti che l'Io serve, che senza l'io non si può vivere, che si diventa matti senza, e che sono favole quelle che affermano che si possa vivere senza il senso dell'io. 
 
E ancora una volta sarebbe una reazione emotiva automatica a parlare e non 'tu'. 
 
Devi farlo, perché senti un senso di minaccia, perché qualcosa inizia a muoversi e a reagire dentro di te proprio nel momento esatto in cui ti si dice che puoi abbandonare quell'identificazione. 
 
Ti arrabbieresti, sbraiteresti e ti gireresti dall'altra parte sconsolato perché "sta roba spirituale so' tutte cazzate" e, almeno fino alla prossima possibilità che ti sarà offerta (e saranno infinite, tranquillo), il tizio dall'altra parte della barricata ti guarderà allontanarti in una nuvola di polvere, dicendo fra sé e sé "prima o poi lo capirà, diamogli tempo" e poi scomparirà, tornando da dove è venuto.
 
 
Andrea Panatta
 
 

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