Gli Stati Uniti, come parte del loro programma per alzare la tensione nel Mar Cinese Meridionale così da incoraggiare la cooperazione del Sudest asiatico con gli USA nell’accerchiamento e nel contenimento dell’ascesa globale e regionale di Pechino, hanno incluso diversi incidenti navali e aerei di alto profilo. Ma c’è una battaglia legale in agguato proprio dietro l’angolo, dietro questi spettacolari titoli di giornale, e ancora una volta le Nazioni Unite sono state chiamate in causa e indebolite nel processo.

L’Associated Press nel suo articolo “Pechino ignorerà la decisione sul Mar Cinese Meridionale” ha riportato che:
La Cina sabato ha detto che ignorerà la decisione di un collegio arbitrale internazionale per una causa filippina contro le ampie rivendicazioni territoriali di Pechino nel Mar Cinese Meridionale.
“Per dirla in modo semplice, la causa arbitrale in realtà è andata oltre la giurisdizione” di un collegio arbitrale delle Nazioni Unite, ha detto il Contrammiraglio Guan Youfei, direttore dell’ufficio per gli affari esteri del Ministero della Difesa Nazionale cinese.
Le Filippine hanno presentato una causa secondo la Convenzione delle Nazioni Unite sul Diritto del Mare, mettendo in dubbio le rivendicazioni territoriali della Cina. Ci si aspetta che un collegio arbitrale prenda presto una decisione sul caso. La Corte Permanente d’Arbitrato ha deciso l’anno scorso di avere giurisdizione sul caso nonostante il rifiuto della Cina.

Mentre l’Associated Press ritrae la causa legale come “filippina”, in realtà viene diretta non dalle Filippine, ma da una squadra legale americana capeggiata da Paul S. Reichler dello studio legale Foley Hoag con base a Boston. L’Inquirer.net, in un articolo intitolato “Avvocati americani per gli esperti filippini sui casi di confini marittimi” avrebbe rivelato che non un singolo avvocato che rappresenta le Filippine è in realtà filippino:
Secondo Chambers Global l’avvocato a capo del team filippino nella sua feroce battaglia legale contro la Cina appartiene ad un gruppo selezionato di avvocati d’élite con estese esperienze nella rappresentazione degli stati sovrani davanti al Tribunale Internazionale sul Diritto del Mare (ITLOS) di Amburgo, Germania, che comprende studi legali e avvocati di tutto il mondo.
Paul Reichler dello studio legale Foley Hoag con base a Boston si è specializzato per più di 25 anni in dispute di confine terrestri e marittime, ha affermato lo studio legale sul suo sito web.
Reichler lavora con altri quattro avvocati statunitensi e inglesi nella discussione della causa del paese davanti al tribunale arbitrale dell’ONU all’Aia, Olanda.
Foley Hoag rappresenta i più potenti interessi corporativo-finanziari della Terra, ed è parte integrante dell’espansione del loro potere e della loro influenza su tutto il globo. Che Foley Hoag sia coinvolto nell’obiettivo di Washington di accerchiare e contenere una delle più grandi minacce all’egemonia di Washington e Wall Street non solo in Asia, ma nel mondo, non è una sorpresa.

Parte del programma americano nel Mar Cinese Meridionale comprende il provocare la tensione, e poi ritrarla come fosse causata solo dalla Cina e dai suoi vicini, con gli Stati Uniti che simulano il ruolo di pacieri – giustificando così il suo continuo “primato” militare, politico ed economico sull’Asia.

Una valutazione del genere non è una congettura. Il think tank politico finanziato e diretto dal mondo corporativo-finanziario, il Consiglio sulle Relazioni Estere (CFR), ha pubblicato un documento intitolato “Rivedere la strategia americana verso la Cina”, scritto da Robert Blackwill – un amministratore e lobbista dell’era Bush che ha partecipato direttamente ai tentativi di Washington di mantenere l’egemonia sull’Asia:

Il documento di Blackwill afferma (grassetto aggiunto):
Poiché lo sforzo americano di “integrare” la Cina nell’ordine liberale internazionale ha ora generato nuove minacce al primato americano in Asia – e potrebbe risultare in una conseguente sfida alla potenza globale americana – Washington ha bisogno di una nuova strategia verso la Cina incentrata sul bilanciare l’ascesa della potenza cinese piuttosto che sul continuare ad assistere alla sua ascesa.
Di fatto, un politico americano ammette apertamente che gli USA percepiscono loro stessi come possessori, e alla ricerca, del mantenimento del “primato in Asia”, primato definito dal dizionario Merriam-Webster come “lo stato dell’essere il più importante o il più forte”.
Quindi gli Stati Uniti, lontani letteralmente un oceano dall’Asia, presumono il “primato” su un’intera regione del pianeta, e stanno apertamente cercando di negare alle nazioni di quella regione il “primato” sui propri destini, popoli e risorse.

Questa è un’aperta, moderna proclamazione di imperialismo.

Ed è anche la vera realtà che sta sotto la politica estera americana nel Mar Cinese Meridionale, e spiega perché una squadra legale Anglo-Americana, non filippina, ha passato anni a cercare di ottenere un verdetto riguardante Pechino dalle Nazioni Unite e da altre organizzazioni “internazionali”.

In questo contesto, è piuttosto chiaro il perché Pechino pianifichi di ignorare il verdetto.

Ma il mancato riconoscimento del verdetto da parte della Cina era stata già considerata dai politici americani e dallo studio legale americano che “rappresenta” le Filippine.

In un articolo del Wall Street Journal intitolato “Domande e Risposte: Portare la Cina in tribunale riguardo al Mar Cinese Meridionale” Paul Reichler di Foley Hoag avrebbe risposto alla domanda “e se la Cina ignorasse semplicemente un giudizio a lei avverso?” affermando (grassetto aggiunto):
In più del 95% delle cause internazionali – cause e arbitrati sottoposti a varie corti e tribunali internazionali – gli Stati si attengono al verdetto, anche se sono scontenti di esso. Ci sono almeno due motivi per questo. Il primo, sono la reputazione e l’influenza derivanti dall’accettazione del verdetto. Il secondo motivo è che molti stati capiscono che va a loro vantaggio, e a vantaggio degli altri, vivere in un sistema basato sulle leggi. Ora, nel caso della Cina, vediamo un paese che è una grande potenza che desidera proiettare la sua influenza sulla comunità internazionale. La Cina pubblicizza sé stessa come la grande potenza anti-imperialista, in contrasto con gli USA, la Russia e gli altri. Pensate ai vantaggi economici che ne deriverebbero per la nazione più ricca e potente della regione se queste dispute venissero risolte e cominciassero gli investimenti nell’estrazione delle risorse del Mar Cinese Meridionale.
Sfortunatamente per Reichler e Foley Hoag, e il “sistema basato sulle leggi” dominato dagli USA, al quale ci si aspetta che la Cina si adegui, troppi esempi degli abusi di questo sistema hanno preceduto in anni recenti il verdetto contro la Cina. Il ruolo delle Nazioni Unite nell’invasione, occupazione e distruzione di Afghanistan, Iraq e Libia sono forse gli esempi più estremi, assieme alla complicità dell’ONU (sia direttamente che attraverso l’inazione) nella distruzione della Siria e dell’Ucraina, e le sanzioni emanate contro l’Iran e altri sono un altro esempio delle Nazioni Unite che vengono utilizzate semplicemente per consentire le ambizioni geopolitiche occidentali e giustificare le aggressioni militari, socioeconomiche e politiche occidentali in tutto il mondo.

Il vero fondamento dell'”ordine internazionale” di Wall Street e Washington è chiaramente “potere è diritto”. Per Pechino accrescere la sua presenza militare nel Mar Cinese Meridionale e tentare di eludere gli arbitrati “internazionali” in favore di colloqui bilaterali con nazioni che vengono spinte dall’Occidente a confrontarsi con Pechino, appare essere non solo la strategia scelta dalla Cina, ma una strategia che porterà sempre più alla luce il vero programma di Washington per la regione, e renderà sempre più complicato per i governi complici in Asia continuare la loro cooperazione con l’Occidente.

Se la necessità di Washington di esercitare una pressione crescente sui governi della regione per farli stare in riga nella guerra per procura dell’America contro Pechino costringerà finalmente o meno i governi asiatici ad abbandonare questa partita rischiosa e costosa, rimane da vedere. Ma Pechino sta partecipando alla partita col vantaggio di giocare in casa – costruendo capacità militari che sono sostenute da reti logistiche che conducono al continente e che terranno testa e supereranno inevitabilmente le capacità americane nella regione.

Evitare una corsa verso il conflitto con gli Stati Uniti come fece erroneamente il Giappone nel periodo precedente alla Seconda Guerra Mondiale assicurerà alla Cina la creazione e l’espansione sostenibile di una deterrenza che respingerà i tentativi americani di mantenere o espandere il primato sulla regione prima di eliminare infine del tutto il primato americano. Per il resto dell’Asia, è cruciale che si crei un equilibrio di potere regionale basato sulla deterrenza militare, accoppiata con la cooperazione economica, che escluda i tentativi degli USA di creare un conflitto che costerà all’intera regione la pace, la stabilità, e cosa importantissima, la prosperità.

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Articolo di Tony Cartalucci apparso su Land Destroyer Report e su New Eastern Outlook il 1 Luglio 2016
Traduzione in Italiano a cura di Raffaele Ucci per SakerItalia.it