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AFP 2016/ Karim SAHIB
Mario Draghi ha recentemente smosso le acque torbide della finanza affermando che «ci sono forze nell’economia globale di oggi che concorrono a mantenere bassa l’inflazione».
E'
la sua seconda dichiarazione di grande impatto politico ed economico.
La prima fu nel luglio 2012 quando disse «faremo tutto quello che è
necessario» per difendere l'euro dagli attacchi speculativi
internazionali. In entrambi i casi è chiaro che non si riferisce a
giochi interni all'Europa ma a forze politiche di oltreoceano.
Sulla questione del crollo dei prezzi delle commodity ed in particolare di quello del petrolio è doveroso fare qualche approfondimento. Innanzitutto il prezzo del petrolio è stato più volte, per non dire sempre, oggetto sia di grandi operazioni speculative che di interventi e decisioni di interesse squisitamente geopolitico.
In generale i prezzi riflettono una situazione di deflazione a seguito della globale recessione economica con la generale riduzione delle produzioni e dei commerci. Ma è altrettanto vero però che un tale ‘ottovolante' non può rappresentare l'andamento reale della domanda e dell'offerta!
Dal 2014, oltre alla speculazione, si è attivata una vasta e
pericolosa strategia geopolitica, guidata dell'Arabia Saudita ed
avallata dagli Usa, tesa a far precipitare il prezzo del petrolio,
aumentandone la produzione, per indebolire l'Iran e la Russia.
Le dinamiche dei prezzi del petrolio e delle altre materie prime sono anche collegate al ‘male profondo' dell'economia mondiale che si chiama ‘bolla del debito'.
Il crollo dei prezzi si è accompagnato ad un alto indebitamento delle imprese leader nel settore delle commodity, del petrolio in particolare. Si considerino le imprese americane del settore dello ‘shale gas' e le varie corporation petrolifere dei Paesi emergenti, che hanno largamente attinto risorse finanziarie sia dal settore bancario che sul mercato obbligazionario. I dati parlano chiaro.
L'emissione di obbligazioni nel periodo indicato è aumentata del 13%
in Russia, del 25% in Brasile e del 31% in Cina. E' appena il caso di
ricordare che in questo lasso di tempo le imprese petrolifere dei Paesi
emergenti hanno contribuito con grandi dividendi ai bilanci dei
rispettivi governi. Perciò la drastica caduta dei prezzi sta mandando
in crisi anche i budget pubblici di molti Paesi.
L'attuale basso prezzo del petrolio sta generando una serie di conseguenze. In primo luogo, essendo i titoli azionari e obbligazionari delle imprese petrolifere collegati al prezzo del petrolio, i loro valori di mercato ne stanno inevitabilmente risentendo. Inoltre con la diminuzione dei profitti è cresciuto il rischio dei dissesti e dei fallimenti oltre che il costo degli eventuali finanziamenti richiesti. Ad esempio, il tasso di interesse di un'obbligazione petrolifera che era di 330 punti nel giugno 2014 oggi è salita a 1.600 punti. Aumenti simili si sono registrati anche per i credit default swap, quei derivati sottoscritti per garantirsi contro le variazioni dei tassi di interesse.
Sulla questione del crollo dei prezzi delle commodity ed in particolare di quello del petrolio è doveroso fare qualche approfondimento. Innanzitutto il prezzo del petrolio è stato più volte, per non dire sempre, oggetto sia di grandi operazioni speculative che di interventi e decisioni di interesse squisitamente geopolitico.
In quest'ottica va letto l'andamento del prezzo
del petrolio. Si ricordi che fino alla metà del 2004 si aggirava
intorno ai 40 dollari al barile. Nel 2006 salì a 70 dollari, a luglio
del 2008 raggiunse i 145 dollari. A fine 2008 precipitò a 30 dollari,
per poi risalire a 110 nel 2011. Dal 2014 il prezzo è sceso fino ai
circa 30 dollari attuali.
In generale i prezzi riflettono una situazione di deflazione a seguito della globale recessione economica con la generale riduzione delle produzioni e dei commerci. Ma è altrettanto vero però che un tale ‘ottovolante' non può rappresentare l'andamento reale della domanda e dell'offerta!
Le dinamiche dei prezzi del petrolio e delle altre materie prime sono anche collegate al ‘male profondo' dell'economia mondiale che si chiama ‘bolla del debito'.
Il crollo dei prezzi si è accompagnato ad un alto indebitamento delle imprese leader nel settore delle commodity, del petrolio in particolare. Si considerino le imprese americane del settore dello ‘shale gas' e le varie corporation petrolifere dei Paesi emergenti, che hanno largamente attinto risorse finanziarie sia dal settore bancario che sul mercato obbligazionario. I dati parlano chiaro.
Le imprese impegnate nei settori del petrolio e
del gas che nel 2006 avevano sottoscritto prestiti bancari per 600
miliardi di dollari, nel 2014 ne contavano ben 1.600 miliardi. Un
aumento del 13% annuo. Le stesse imprese, spesso attraverso l'utilizzo
di filiali offshore, hanno fortemente aumentato anche le loro emissioni
di obbligazioni, passando dai 455 miliardi nel 2006 ai 1.400 miliardi di
bond nel 2014. Un aumento annuo del 15%.
Estrazione petrolio - ©
AP Photo/ Hasan Jamali
L'attuale basso prezzo del petrolio sta generando una serie di conseguenze. In primo luogo, essendo i titoli azionari e obbligazionari delle imprese petrolifere collegati al prezzo del petrolio, i loro valori di mercato ne stanno inevitabilmente risentendo. Inoltre con la diminuzione dei profitti è cresciuto il rischio dei dissesti e dei fallimenti oltre che il costo degli eventuali finanziamenti richiesti. Ad esempio, il tasso di interesse di un'obbligazione petrolifera che era di 330 punti nel giugno 2014 oggi è salita a 1.600 punti. Aumenti simili si sono registrati anche per i credit default swap, quei derivati sottoscritti per garantirsi contro le variazioni dei tassi di interesse.
Una
seconda inevitabile conseguenza è la progressiva mancanza di liquidità
per le imprese petrolifere coinvolte. Per farvi fronte inizialmente si
aumenta la produzione con l'intento di mantenere un flusso di cassa
attivo, ma spesso si è costretti a una riduzione degli investimenti o
alla dismissione di parte del patrimonio dell'azienda.
Una terza conseguenza, la più rischiosa, si manifesta nella tendenza
ad aumentare la vendita di ‘future' petroliferi e di acquisti di
derivati ‘put option' come garanzie sull'andamento dei prezzi. Di fatto
ogni aumento dei ‘future' petroliferi tende a saturare ulteriormente il
mercato contribuendo alla discesa del prezzo del petrolio. In una fase
di caduta del prezzo, la speculazione gioca al ribasso: si vende, sulla
carta, a 100 oggi per ricomprare domani a 90. Il contrario di quanto
succedeva nei periodi di crescita del prezzo quando si comprava un
derivato a 100 per venderlo a 110 alla scadenza, partecipando così
all'esplosione dei prezzi.
E' un meccanismo perverso della finanza, del
debito e della speculazione. Non si possono immaginare soluzioni
efficaci alle gravi distorsioni del sistema senza rivederne
l'architettura.
Tale urgenza non è più eludibile in quanto irresponsabilmente si
ripropongono vecchie tesi di geopolitica che vedono solo nella guerra o
in una grande e diffusa destabilizzazione ‘l'occasione' per determinare
l'aumento del prezzo del petrolio e delle altre commodity.
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