Dopo decenni durante i quali ha svolto il
ruolo di intermediario tra Stati, affermandosi come potenza regionale,
la politica dell’Arabia Saudita d’ingerenza nei Paesi vicini e di
supporto al terrorismo sembrano aver esacerbato i problemi del Paese che
potrebbero minacciare di precipitare nel caos.
La crescente
insoddisfazione con l’introduzione dell’austerità, i problemi economici
legati alla fluttuazione dei prezzi del petrolio e i segni di disaccordi
nella casa reale sul successore di re Salman bin Abdulaziz al-Saud,
indicano che le avventure all’estero dei sauditi prepararono la tempesta
perfetta per un conflitto civile che porterebbe ad ulteriore
instabilità in Medio Oriente.
La perturbazione appare mentre Stati come
Iran e Turchia si pongono a potenziali concorrenti per la leadership del
mondo arabo.
I. L’Arabia Saudita vive crescenti segnali d’instabilità
L’Arabia Saudita subisce vari problemi che contribuiscono alla destabilizzazione interna. Ad aprile, Bloomberg riferiva che re Salman fu costretto a ripristinare bonus e indennità per i dipendenti statali, respingendo l’ampia riforma dei programmi di austerità in Arabia Saudita.
Il governo saudita insisteva che la decisione era dovuta a
“maggiori ricavi attesi”, nonostante gli osservatori notassero a marzo
che le riserve di valuta estera dell’Arabia Saudita si erano ridotte di
un terzo mentre i membri del Consiglio cooperazione del Golfo, Emirati
Arabi Uniti, Bahrayn, Arabia Saudita, Oman, Qatar e Quwayt, videro il
loro rating ridursi mentre erano sempre più in disaccordo su una
politica estera comune verso l’Iran.
I crescenti problemi finanziari del
regno sono spiegati in parte dai prezzi del petrolio bassi. Nel gennaio
2016, The Independent osservò che il calo dei prezzi del petrolio
minava i programmi di spesa dell’Arabia Saudita, con un terzo dei
giovani di 15-24 anni del Paese non lavora. The Journal of Science and Engineering Petroleum
ritiene che l’Arabia Saudita raggiungerà il picco nella produzione di
petrolio entro il 2028, ma questo sarebbe un eufemismo incredibile.
The Middle East Eye
citava esperti statunitensi precisare che le esportazioni di petrolio
dell’Arabia Saudita iniziarono a diminuire nel 2006, diminuendo
annualmente dell’1,4% l’anno dal 2005 al 2015.
Citigroup
riteneva che il regno potrebbe esaurire il petrolio per l’esportazione
entro il 2030. La fine della vacca da mungere del regno probabilmente
causerà problemi nella nazione che The Atlantic definiva gestita come una “sofisticata organizzazione criminale“.
II. L’aumento dei segnali di conflitti interni in Arabia Saudita
Vi sono varie indicazioni che la famiglia reale dell’Arabia Saudita
sappia molto anche sui conflitti interni. Re Salman ha causato un grave
sconvolgimento adottando il passo controverso di revisionare
completamente le regole della successione nominando il figlio Muhamad
bin Salman principe ereditario.
Tale passo è pericoloso perché ha
causato una divisione nella famiglia reale. La rivista Foreign Policy
osservava che le forze di sicurezza dell’Arabia Saudita non sono sotto
il controllo di un unico comandante, il che significa che l’esercito
corre il rischio di fratturarsi nel conflitto interno.
Nel 2015, The Independent
parlò con un principe saudita che rivelò che otto degli undici fratelli
di Salman erano scontenti della sua leadership e che intendevano
dimetterlo per sostituirlo con l’ex-ministro dell’Interno principe Ahmad
bin Abdulaziz. NBC News rivelò che la promozione del figlio di
Salman a principe ereditario ha anche fatto arrabbiare il principe
Muhammad bin Nayaf, che lo precedeva nella linea di successione ed è
noto per la posizione dura nei confronti dell’Iran.
Il 28 giugno 2017,
il New York Times riferì che a Nayaf fu impedito di lasciare
l’Arabia Saudita, venendo confinato nel suo palazzo di Gedda, dove le
sue guardie venivano sostituite da quelle fedeli a Muhamad bin Salman.
Nayaf governa la regione orientale dell’Arabia Saudita, descritta come
provincia pronta a ribellarsi in caso di conflitto civile, per via della
grande popolazione sciita. È generalmente considerato uno dei
principali sostenitori dell’esecuzione, nel 2016, dello sciita Nimr
al-Nimr, passo che suscitò grande rabbia presso gli iraniani.
La
famiglia di Nayaf ha anche legami storici con gruppi di insorti
utilizzati dall’Arabia Saudita come strumento di politica estera. Suo
padre, Nayaf bin Abdulaziz al-Saud, fu ministro degli Interni e
monitorava i servizi segreti, la polizia, le forze speciali, l’agenzia
d’interdizione della droga dell’Arabia Saudita e le forze dei mujahidin.
Re Salman utilizza la guerra nello Yemen per contrastare le élite
insoddisfatte per via di ciò che The Washington Post descrisse
come un’ondata di sentimenti nazionalisti tra i cittadini. La decisione
fu anche un tentativo di adottare misure attive contro il sostegno
iraniano ai ribelli huthi nello Yemen e impedire la destabilizzazione
della primavera araba.
Ma se l’intervento può aver dato all’Arabia
Saudita vantaggi a breve termine, ha anche contribuito ad inasprire le
fratture in Medio Oriente permettendo agli Stati vicini di adottare
misure per sostituire l’Arabia Saudita a potenza dominante nella
regione.
III. I cambiamenti geopolitici aumentano la probabilità di conflitto
Non solo lo Yemen preoccupa i sauditi. Anni di interferenze ora spingono
il Regno a condurre sempre più gli affari esteri col fine di evitare la
destabilizzazione interna ed equilibrare la situazione regionale. Il
rilascio da WikiLeaks di dispacci diplomatici e del ministero degli
Esteri dell’Arabia Saudita dimostrano che i funzionari s’impegnano a
voler distruggere il regime siriano per il timore che il governo di
Assad attui una rappresaglia distruttiva per la guerra civile.
L’Arabia
Saudita ha contribuito ad alimentare la guerra sostenendo gruppi
terroristici. I cablo del dipartimento di Stato pubblicati da Wikileaks
mostrano che l’Arabia Saudita è considerata il maggiore finanziatore dei
gruppi terroristici sunniti nel mondo. Ma sugli interventi all’estero,
il terrorismo è uno strumento di politica estera utilizzato per
indirizzare al meglio l’energia distruttiva.
Ci sono da tempo timori che
il metodo non funzioni e creino problemi ai finanziatori del
terrorismo.
Le forze di sicurezza saudite hanno regolarmente avuto
problemi d’infiltrazione dai gruppi terroristici. Nel 2001, Stratfor
osservò la crescente preoccupazione della famiglia reale sull’aumento
di simpatizzanti del terrorismo tra i militari, per via del timore che
alcuni gruppi di insorti non fossero amichevoli verso il regno.
Gruppi
terroristici come lo SIIL negli ultimi anni hanno effettuato vari
attacchi contro obiettivi sauditi, tra cui attentati suicidi contro la
città santa islamica di Medina e la Grande Moschea della Mecca.
Tradizionalmente, il potere in Medio Oriente fu diviso tra i governi
israeliani e sauditi.
Questo ordine regionale potrebbe comunque iniziare
a cambiare, a causa della combinazione tra strategia fluttuante degli
Stati Uniti e tentativi di altri Stati del Medio Oriente di divenire i
principali attori della regione.
Nel marzo 2016, Julian Assange osservò
su New Internationalist che gli strateghi statunitensi come
John Brennan vedevano sempre più il rapporto israelo-saudita come
ostacolo agli interessi strategici degli USA, soprattutto verso l’Iran.
Tale cambiamento politico attualmente si riproduce con la crisi in
Qatar.
Il Qatar storicamente si era posto da centro diplomatico in Medio
Oriente, rimanendo vicino a Iran e diversi gruppi di insorti, come i
taliban, che lo vedevano come luogo di negoziati. Le e-mail di John
Podesta rivelano che il Qatar ha sostenuto gruppi terroristici come lo
SIIL assieme all’Arabia Saudita, ma con l’intenzione di competere con
altri gruppi terroristici.
Fazioni supportate dal Qatar sono al-Qaida, al-Nusra, Hamas e taliban. Inoltre, al-Jazeera,
media del Qatar, ha provocato l’Arabia Saudita fornendone una visione
inquietante sui problemi in precedenza non riconosciuti in Medio Oriente
(anche se una copertura critica della politica del Qatar fu
risparmiata). NPR ha anche osservato che il Qatar era apertamente in
competizione con l’Arabia Saudita durante la primavera araba, quando
sostennero opposte fazioni in Paesi come l’Egitto.
Il conflitto con il
Qatar crea il rischio molto reale che le ostilità possano diffondersi in
Arabia Saudita, dato il supporto di entrambi ai gruppi terroristici. Lo
scontro recente ha rivelato anche la nascita di un nuovo ordine in
Medio Oriente: tra Stati che difendono il vecchio rapporto
israelo-saudita e chi vuole rimodellare i rapporti di forza. L’Arabia
Saudita è sostenuta da Egitto, Emirati Arabi Uniti, Bahrayn, Yemen e
Maldive.
Il Qatar è sostenuto dagli avversari regionali dell’Arabia
Saudita, Iran e Turchia. La Turchia ha continuato ad accrescere il
proprio ruolo in Medio Oriente negli ultimi anni ed è visto dagli Stati
Uniti come attore adatto a bilanciare l’influenza saudita in Paesi come
il Pakistan.
Turchia e Iran ora sfidano attivamente l’Arabia Saudita con
la Turchia che schiera truppe in Qatar e l’Iran che sostiene il piccolo
Stato del Golfo con aiuti alimentari. Se i due Stati sopravvivono a
destabilizzanti colpi di Stato e terrorismo, possono trarre vantaggio da
qualsiasi futura riduzione dell’influenza saudita.
IV. I pericoli di un conflitto civile saudita
Una guerra civile o conflitto interno in Arabia Saudita raggiungerebbe
rapidamente una dimensione internazionale. Le aziende della difesa sono
sempre più corteggiate dai fondi sauditi, nell’ambito dei piani per
rivedere l’esercito, cui una parte comprende il recente accordo da 100
miliardi con gli Stati Uniti.
L’Arabia Saudita ha utilizzato sempre più
aziende militari private come la Blackwater, che attualmente
forniscono personale alla coalizione saudita nello Yemen. Lo spettro
della proliferazione nucleare nel Medio Oriente solleva anche il timore
che le armi possano cadere nelle mani sbagliate o di un impiego
indiscriminato. Le dichiarazioni del 2010 del direttore di al-Jazeera,
ripetute da Julian Assange, secondo cui il Qatar ha un’arma nucleare.
L’Arabia Saudita è anch’essa sospettata di avere armi nucleari. Nel
2013, BBC News riferì che l’Arabia Saudita aveva armi nucleari
“ordinate” dal Pakistan, il cui programma nucleare fu finanziato dai
sauditi. Nel 2012, i sauditi firmarono anche un accordo di cooperazione
nucleare con la Cina secondo cui Riyadh avrà 16 reattori nucleari dal
2030.
L’acquisizione di armi di distruzione di massa da parte dei Paesi
arabi preoccupa i funzionari dei servizi segreti israeliani, che temono
che i Paesi che acquistano tali sistemi d’arma non li useranno in modo
efficace. Se il conflitto con il Qatar (o in una delle altre regioni in
cui l’Arabia Saudita è intervenuta) va fuori controllo, la possibile
proliferazione di sistemi d’arma nucleari pone un serio pericolo.
Conflitti internazionali e regionali ed operazioni terroristiche creano
il rischio che tali armi possano essere utilizzate intenzionalmente o
inavvertitamente. Una guerra civile saudita crea anche pericoli per la
comunità internazionale, in quanto ci sarebbero gravi problemi se le
città sante di Mecca e Medina venissero danneggiate da un conflitto.
Il
calo delle riserve di valuta estera, per la diminuzione della fornitura
di petrolio, conflitti nella famiglia reale e la minaccia sempre
presente che le reti terroristiche danneggino i loro finanziatori,
indicano che l’Arabia Saudita è in crisi.
Il conflitto del Qatar
continua ad aggravarsi e le vere domande non dovrebbero porsi sulla
possibile fine del terrorismo o sull’etica di vendere nuove armi ai
Paesi arabi, ma su ciò che il mondo spera sia il Medio Oriente una volta
che la polvere si sia depositata.
William Craddick, Disobedient Media 29 giugno 2017
Traduzione di Alessandro Lattanzio – SitoAurora
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