lunedì 31 luglio 2017

Legge vaccini: pretendere il rispetto del ‘consenso informato’ determinerà la sua sconfitta


Oggi è morta definitivamente la democrazia e si è consumata l’approvazione di un crimine contro i bambini italiani. Tuttavia, anziché abbandonarci in polemiche da bar sport, crediamo sia utile fornire uno strumento chiaro ed inequivocabile che pone al riparo qualunque persona di fronte a un obbligo che costituisce una violazione dei diritti umani e della libertà individuale:

è principio acclarato che l’acquisizione di un valido consenso informato “libero e consapevole” prima di intraprendere qualunque trattamento sanitario [tranne che in “stato di necessità” ove è in pericolo la vita del paziente] costituisce un obbligo indiscusso la cui violazione da parte del medico vaccinatore lo esporrà a responsabilità di natura sia giuridica che deontologica.

Infatti, l’unico stato di necessità che può sollevare dalle sue responsabilità un medico vaccinatore è rappresentato dal caso in cui si proceda a vaccinazione coatta per dichiarata pandemia [a livello mondiale] di una determinata malattia. Non è quindi il caso dell’obbligo vaccinale dichiarato nel decreto né il morbillo, che rappresenta un indicatore aziendale per promuovere politiche vaccinali ed è stato il cavallo di Troia per redigere questo insensato decreto.

Definizione


Nel nostro quadro legislativo di riferimento non esiste una vera e propria definizione di consenso informato, seppure esso sia più volte citato in norme e atti giuridici. Tuttavia, è comunque possibile estrapolare una sua definizione attraverso quanto stabilito dalle codificazioni deontologiche, dalla letteratura e dalla Giurisprudenza:

il consenso informato, concetto che attiene alla relazione medico-paziente, rappresenta il fondamento della liceità dell’attività sanitaria, che in sua assenza costituirebbe reato, il cui fine è quello di promuovere l’autonomia dell’individuo nell’ambito delle decisioni mediche, assumendo il significato d’adesione consapevole all’atto medico proposto.

Tale definizione enfatizza il rispetto dell’autonomia decisionale del paziente e il diritto di ciascuno d’autodeterminarsi, in conformità a quanto stabilito all’art. 32 della Costituzione italiana che sancisce che nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge, in sintonia a sua volta con il principio fondamentale dell’inviolabilità della libertà personale [art. 13]. Gli stessi principi dell’art. 32 della Costituzione sono anche ribaditi nella Legge 180/1978 all’art. 1, comma 1 e 5, confluiti poi nella Legge 833/1978 all’art. 33, comma 1 e 5.

Natura giuridica


L’acquisizione di un valido consenso prima di intraprendere qualunque trattamento sanitario [tranne che in “stato di necessità” – Art. 54 c.p.] costituisce un obbligo indiscusso, poiché su questo si basa la liceità dell’atto medico nel rispetto dei dettami costituzionali [Costituzione italiana, Art. 32 comma 2 e Art. 13] , del Codice di deontologia medica [Artt. 33 , 35 , 37 e 38 Codice deontologia medica] e delle norme contenute nel Codice penale [Art. 50 c.p.] e nel Codice civile [sent. Cass. civ. sent. 25 novembre 1994, n. 10014].

Nella pratica clinica, salvo alcune eccezioni, il consenso informato non può essere eluso e bisogna porre attenzione a non ridurlo ad atto meramente “formale e spersonalizzato, ovvero, un “consenso consapevole” non può reputarsi legittimamente ottenuto mediante la mera sottoscrizione di prestampati standard, contenenti indicazioni generiche oppure, al contrario, eccessivamente tecniche e scarsamente comprensibili. Esso rappresenta, invece, uno strumento indispensabile per aiutare il dialogo e il rapporto personale di fiducia tra l’operatore sanitario e l’utente-cittadino, e non può essere relegato in secondo piano da un obbligo folle.

Recenti sentenze [Cassazione penale, Sez. VI, 14 febbraio 2006, n. 11640, Caneschi] ripropongono il principio secondo cui
«l’attività medica richiede per la sua validità e concreta liceità la manifestazione del consenso del paziente, che non si identifica con quello di cui all’art. 50 c.p., ma costituisce un presupposto di liceità del trattamento»,
derivandone da ciò che la mancanza o la invalidità del consenso
«determinano la arbitrarietà del trattamento medico-chirurgico e, quindi, la sua rilevanza penale, in quanto compiuto in violazione della sfera personale del soggetto e del suo diritto di decidere se permettere interventi estranei sul proprio corpo».
Nella sentenza della Cassazione penale, Sez. IV, 14 marzo 2008, n. 11335 si legge che
«la sentenza pronunciata da questa stessa Sezione in data 11 luglio 2001, Firenzani, condivisibilmente sottolinea che la legittimità di per sé dell’attività medica richiede per la sua validità e concreta liceità, in principio, la manifestazione del consenso del paziente, il quale costituisce un presupposto di liceità del trattamento medico chirurgico. Il consenso afferisce alla libertà morale del soggetto e alla sua autodeterminazione, nonché alla sua libertà fisica intesa come diritto al rispetto della propria integrità corporea, le quali sono tutte profili della libertà personale proclamata inviolabile dall’art. 13 Cost.
Ne discende che non è attribuibile al medico un generale diritto di curare, a fronte del quale non avrebbe alcun rilievo la volontà dell’ammalato, che si troverebbe in una posizione di soggezione su cui il medico potrebbe ad libitum intervenire, con il solo limite della propria coscienza; appare, invece, aderente ai principi dell’ordinamento riconoscere al medico la facoltà o la potestà di curare, situazioni soggettive, queste, derivanti dall’abilitazione all’esercizio della professione sanitaria, le quali, tuttavia, per potersi estrinsecare abbisognano, di regola, del consenso della persona che al trattamento sanitario deve sottoporsi».
Il consenso informato ha come contenuto concreto
«la facoltà non solo di scegliere tra le diverse possibilità di trattamento medico, ma anche di rifiutare eventualmente la terapia e di decidere consapevolmente di interromperla, in tutte le fasi della vita, anche in quella terminale» [Cass. civ. Sez. III, 4 ottobre 2007, n. 21748].
Tale conclusione, fondata sul rispetto del diritto del singolo alla salute, tutelato dall’art. 32 della Costituzione [per il quale i trattamenti sanitari sono obbligatori nei soli casi espressamente previsti dalla Legge ma senza violare il rispetto della persona umana], evidenzia come il criterio di disciplina della relazione medico-paziente è quello della libera disponibilità del bene salute da parte del paziente in possesso delle capacità intellettive e volitive, secondo una totale autonomia di scelte che può comportare il sacrificio del bene stesso della vita e che deve essere sempre rispettata dal sanitario [cfr. del resto anche Sezione IV, 4 luglio 2005, PM in proc. Da Re, dove in linea con questi principi si affronta la questione del “rifiuto” da parte del paziente del trattamento sanitario].

Nonostante l’incerta elaborazione dottrinaria, non c’è alcun dubbio sull’odierna necessità del consenso in quanto espressione del rispetto della dignità e del diritto di autodeterminazione del paziente.

Destinatario del consenso è il sanitario responsabile delle cure medico-chirurgiche, titolare della “posizione di garanzia” nei confronti del paziente, ovvero, in caso di lavoro di équipe, chiunque altro della stessa qualifica o specializzazione.

Principali fonti giuridiche


Come già evidenziato non esiste una previsione normativa che impone tassativamente l’acquisizione del consenso quale manifestazione scritta della volontà del soggetto, ma vengono prese in considerazione in via deduttiva e analogica:
  • alcune disposizioni nazionali in campo sanitario;
  • alcuni articoli della Costituzione italiana [artt. 13 e 32] del nostro Codice penale e Codice civile;
  • gli articoli specifici del codice deontologico delle diverse professioni sanitarie;
  • varie sentenze della Suprema Corte di Cassazione;
  • alcune disposizioni internazionali in campo sanitario.

Fonti del Codice Penale

Art. 50 c.p. [Consenso dell’avente diritto]
Non è punibile chi lede o pone in pericolo un diritto, col consenso della persona che può validamente disporne.
Art. 610 c.p. [Violenza privata]
Chiunque, con violenza o minaccia, costringe altri a fare, tollerare, od omettere qualche cosa è punito con la reclusione fino a quattro anni. La pena è aumentata se concorrono le condizioni prevedute dall’articolo 339.

Fonti del Codice Civile

Art. 1325 c.c. [Indicazione dei requisiti]
I requisiti del contratto sono: (1) l’accordo delle parti; (2) la causa; (3) l’oggetto; (4) la forma, quando risulta che è prescritta dalla legge sotto pena di nullità.
Art. 1337 c.c. [Trattative e responsabilità precontrattuale]
Le parti, nello svolgimento delle trattative e nella formazione del contratto, devono comportarsi secondo buona fede.
Art. 1418 c.c. [Cause di nullità del contratto]
Il contratto è nullo quando è contrario a norme imperative, salvo che la legge disponga diversamente.
Producono nullità del contratto la mancanza di uno dei requisiti indicati dall’articolo 1325, l’illiceità della causa, l’illiceità dei motivi nel caso indicato dall’articolo 1345 e la mancanza nell’oggetto dei requisiti stabiliti dall’articolo 1346. Il contratto è altresì nullo negli altri casi stabiliti dalla legge.

Fonti del Codice di Deontologia medica

Art. 33 [Informazione al cittadino]
Il medico deve fornire al paziente la più idonea informazione sulla diagnosi, sulla prognosi, sulle prospettive e le eventuali alternative diagnostico-terapeutiche e sulle prevedibili conseguenze delle scelte operate. Il medico dovrà comunicare con il soggetto tenendo conto delle sue capacità di comprensione, al fine di promuoverne la massima partecipazione alle scelte decisionali e l’adesione alle proposte diagnostico-terapeutiche. Ogni ulteriore richiesta di informazione da parte del paziente deve essere soddisfatta. Il medico deve, altresì, soddisfare le richieste di informazione del cittadino in tema di prevenzione. Le informazioni riguardanti prognosi gravi o infauste o tali da poter procurare preoccupazione e sofferenza alla persona, devono essere fornite con prudenza, usando terminologie non traumatizzanti e senza escludere elementi di speranza. La documentata volontà della persona assistita di non essere informata o di delegare ad altro soggetto l’informazione deve essere rispettata.
Art. 35 [Acquisizione del consenso]
Il medico non deve intraprendere attività diagnostica e/o terapeutica senza l’acquisizione del consenso esplicito e informato del paziente. Il consenso, espresso in forma scritta nei casi previsti dalla legge e nei casi in cui per la particolarità delle prestazioni diagnostiche e/o terapeutiche o per le possibili conseguenze delle stesse sulla integrità fisica si renda opportuna una manifestazione documentata della volontà della persona, è integrativo e non sostitutivo del processo informativo di cui all’art. 33.
Il procedimento diagnostico e/o il trattamento terapeutico che possano comportare grave rischio per l’incolumità della persona, devono essere intrapresi solo in caso di estrema necessità e previa informazione sulle possibili conseguenze, cui deve far seguito una opportuna documentazione del consenso. In ogni caso, in presenza di documentato rifiuto di persona capace, il medico deve desistere dai conseguenti atti diagnostici e/o curativi, non essendo consentito alcun trattamento medico contro la volontà della persona. Il medico deve intervenire, in scienza e coscienza, nei confronti del paziente incapace, nel rispetto della dignità della persona e della qualità della vita, evitando ogni accanimento terapeutico, tenendo conto delle precedenti volontà del paziente.
Art. 37 [Consenso del legale rappresentante]
Allorché si tratti di minore o di interdetto il consenso agli interventi diagnostici e terapeutici, nonché al trattamento dei dati sensibili, deve essere espresso dal rappresentante legale. Il medico, nel caso in cui sia stato nominato dal giudice tutelare un amministratore di sostegno deve debitamente informarlo e tenere nel massimo conto le sue istanze. In caso di opposizione da parte del rappresentante legale al trattamento necessario e indifferibile a favore di minori o di incapaci, il medico è tenuto a informare l’autorità giudiziaria; se vi è pericolo per la vita o grave rischio per la salute del minore e dell’incapace, il medico deve comunque procedere senza ritardo e secondo necessità alle cure indispensabili.
Art. 38 [Autonomia del cittadino e direttive anticipate]
Il medico deve attenersi, nell’ambito della autonomia e indipendenza che caratterizza la professione, alla volontà liberamente espressa della persona di curarsi e deve agire nel rispetto della dignità, della libertà e autonomia della stessa. Il medico, compatibilmente con l’età, con la capacità di comprensione e con la maturità del soggetto, ha l’obbligo di dare adeguate informazioni al minore e di tenere conto della sua volontà. In caso di divergenze insanabili rispetto alle richieste del legale rappresentante deve segnalare il caso all’autorità giudiziaria; analogamente deve comportarsi di fronte a un maggiorenne infermo di mente. Il medico, se il paziente non è in grado di esprimere la propria volontà, deve tenere conto nelle proprie scelte di quanto precedentemente manifestato dallo stesso in modo certo e documentato.

Convenzione di Oviedo e Carta dei Diritti del Malato


Lo scopo principale del consenso informato è quello di rispettare e tutelare il diritto all’autodeterminazione del soggetto. Non meno importante è, inoltre, la sua funzione di strumento indispensabile a facilitare il dialogo medico-paziente per creare quel rapporto personale di fiducia che costituisce la base alla condivisione del percorso di cure che, auspicabilmente, deve sfociare poi nella cosiddetta “alleanza terapeutica“.

Oltre ai già citati articoli della Costituzione , del Codice Penale, del Codice Civile, e del Codice di deontologia medica, è utile ricordare quanto stabilito dalla Convenzione di Oviedo [1997] che all’art. 2 recita
«l’interesse e il bene dell’essere umano debbono prevalere sul solo interesse della società o della scienza»
garantendo pertanto ad ogni persona capace il diritto di prestare o negare il proprio consenso in relazione ai trattamenti sanitari, mentre all’art. 5 ribadisce che
«qualsiasi intervento in campo sanitario non può essere effettuato che dopo il consenso libero e dichiarato della persona interessata, la quale riceve preventivamente un’informazione adeguata in merito allo scopo e alla natura dell’intervento nonché alle sue conseguenze e ai suoi rischi».
Anche la Carta dei diritti del malato, all’art. 4, stabilisce che
«il paziente ha il diritto di rifiutare il trattamento nell’estensione permessa dalla legge e di essere informato delle conseguenze mediche della sua azione».
L’obbligo di informazione da parte del sanitario assume, infine, una funzione di rilievo nella fase precontrattuale, in cui si forma il consenso del paziente al trattamento o all’intervento, e trova fondamento nel dovere di comportarsi secondo buona fede nello svolgimento delle trattative e nella formazione del contratto [art. 1337 c.c.].

La documentazione di avere acquisito il consenso, dopo avere fornito le adeguate informazioni, è parte integrante della cartella clinica e rappresenta un elemento indispensabile per l’esecuzione del trattamento sanitario, sia esso di routine o meno.

Requisiti


In atto non esiste alcuna norma giuridica d’ordinamento sulla forma del consenso, tranne che per alcuni casi particolari in cui ne è prevista una scritta attestante l’acquisizione. Si tratta tuttavia di settori limitati e specialistici come in materia di trasfusione di sangue ed emocomponenti o di somministrazione di emoderivati [D.M. del 1 settembre 1995 e dopo del 26 gennaio 2001, poi abrogato dal D.M. 3 marzo 2005] e di trapianti d’organo, di sperimentazione dei farmaci [D.M. 27 aprile 1992], di accertamenti per HIV [Legge 5 giugno 1990, n. 135], di radiazioni ionizzanti [D.L. 230/1995].

Il consenso, per essere valido, deve essere fondato su alcuni requisiti e caratteristiche indispensabili, la cui mancanza, anche se parziale, può invalidarne l’efficacia liberatoria nei confronti del sanitario. Il consenso deve essere informato, consapevole, reale e specifico, preventivo, personale, attuale, revocabile, rinnovabile, legale e immune da vizi.

 

«La validità del consenso presuppone che l’informazione deve «provenire dallo stesso sanitario cui è richiesta la prestazione professionale» [sentenza Cass. civ. 15 gennaio 1997, n. 364]. Allo stesso modo una compilazione del modulo da parte di un soggetto non competente rende il consenso stesso invalido e pertanto nullo.

La validità del consenso si desume anche dall’osservanza puntuale nella compilazione del modulo, sia dei requisiti formali [firma del medico, firma del paziente, data, luogo] che di quelli sostanziali [contenuto, informazione adeguata].

Consenso informato e Stato di necessità


Spesso, in emergenza-urgenza, si possono prefigurare situazioni in cui il paziente, “in stato di incoscienza”, non si trovi nelle condizioni di intendere e volere tali da potere decidere autonomamente per sé stesso, ovvero versando in condizioni di sofferenza [fisica e/o psichica] non ha comunque la possibilità di scegliere liberamente e consapevolmente. In questi casi la liceità all’atto medico è giustificata dallo stato di necessità. Il riferimento pertinente è alla norma sostanziale del Codice penale, art. 54, riferita, per via analogica, alle condizioni dell’agire medico in stringenti condizioni di urgenza, che costituisce una nota esimente di punibilità.

L’art. 54 c.p. prevede che il sanitario possa prescindere dal consenso nel caso in cui si configuri
«la necessità di salvare sé od altri dal pericolo attuale di un danno grave alla persona, pericolo da lui non volontariamente causato né altrimenti evitabile, sempre che il fatto sia proporzionato al pericolo».
Secondo tale articolo, pertanto, qualora sussistano le condizioni di necessità e la persona non sia in grado di esprimere il proprio consenso, il medico è tenuto a intervenire anche senza acquisizione di un valido consenso informato.

Per invocare lo stato di necessità medica occorre, tuttavia, che il pericolo sia attuale e inevitabile:
  • attuale, in quanto imminente, sovrastante e in atto al momento dell’azione [sussistenza di condizioni in grado di tradursi in un danno per la vita e l’incolumità fisica del paziente];
  • inevitabile, in quanto non eliminabile con diversa condotta.
Il medico ha il dovere di compiere tutti gli atti possibili, documentando accuratamente la situazione che viene ad affrontare e i provvedimenti relativi, non procrastinabili e specifi camente necessari a superare quel pericolo o quel rischio. Ai familiari non è riconosciuto alcun vero e proprio potere di decidere anche se è opportuno informarli.

Come ben si può comprendere queste “necessità di urgenza ed emergenza” non hanno nulla a che vedere con la coercizione vaccinale imposta dalla folle legge vaccini, ma rappresentano casi estremi in cui è manifestamente in pericolo la vita del paziente.

Consenso del minore e della persona incapace


Per i minori, il potere decisionale è affidato a chi detiene la patria potestà. Secondo l’art. 37 del Codice di deontologia medica, il consenso agli interventi diagnostici e terapeutici, in caso di minore o di interdetto, deve essere espresso dal rappresentante legale. Secondo lo stesso articolo, inoltre, in caso di una sua opposizione a un trattamento necessario e indifferibile, il medico è tenuto a informare l’autorità giudiziaria e deve comunque procedere senza ritardo e secondo necessità alle cure indispensabili solamente se vi è pericolo per la vita o grave rischio per la salute.

Quest’ultimo caso non riguarda le vaccinazioni obbligatorie, ma spesso viene utilizzato per intimorire e violentare psicologicamente i genitori più resistenti.

Nei minori il consenso informato deve essere richiesto a entrambi i genitori. Se vi è contrasto tra loro su una questione di particolare importanza [come appunto può essere una questione di salute], ciascuno può ricorrere informalmente al Tribunale per i minorenni, chiedendo che siano presi i provvedimenti più idonei.

Nel caso in cui uno dei genitori non può esprimere il consenso a causa di lontananza, di incapacità o di altro impedimento, la potestà è esercitata in modo esclusivo dall’altro [art. 317 c.c.]. Se i genitori sono separati o divorziati, l’esercizio della potestà spetta al genitore affidatario, fatta eccezione per le questioni di più forte interesse, come possono essere gravi problemi di salute, per cui è necessario l’accordo di entrambi, a cui è opportuno, in questi casi, richiedere il consenso o comunque manifestazioni di accordo, salvo condizioni particolari stabilite dal Tribunale o dal Giudice tutelare.

Quando i genitori sono stati privati della patria potestà o sono morti, il consenso deve essere espresso dal tutore. Nel caso in cui il minore versa in una situazione di emergenza [ma non è il caso delle vaccinazioni obbligatorie] e nessuno dei rappresentanti legali è presente o raggiungibile rapidamente, o comunque nessuno dei criteri di decisione sopra riportati è applicabile, il medico deve intervenire al meglio per tutelarne il diritto alla sua salute. Vige chiaramente lo stato di necessità secondo l’art. 54 del Codice penale.

Nella Raccomandazione sul diritto dei minori all’informazione e al consenso informato approvata all’unanimità dal Consiglio del comitato permanente dei medici europei [CPME], Bruxelles 11 marzo 2006, si legge che
«non si può negare il diritto di un minore a essere curato in quanto soggetto e a essere, per quanto possibile, coinvolto in decisioni riguardanti le scelte terapeutiche» e che «mentre un minore può non avere maturità giuridica nel prendere alcune decisioni nella scelta terapeutica, lo stesso/a può aver sviluppato un’esperienza significativa nei confronti della propria malattia, e può avere un’opinione sulla terapia che occorre ascoltare e prendere in considerazione». Questa raccomandazione invita inoltre i medici a provvedere aff nché le informazioni siano date «in modo adeguato alle capacità intellettive del minore e alla maturità dello stesso/a, riconoscendo, nel contempo, che la stessa informazione dovrebbe essere fornita a coloro che hanno il diritto di dare il consenso alle cure». Finisce dichiarando che «la finalità di tale approccio è quella di dare informazione al minore guidandolo con sensibilità e prudenza e supportandolo nella sua malattia» e che è essenziale «sia il riconoscimento del diritto del mminore coinvolto nelle scelte terapeutiche, sia il ruolo dei genitori o dei suoi legali rappresentanti».
L’art. 6 della Convenzione sui diritti dell’uomo e la biomedicina [Oviedo, 4 aprile 1997] contiene una specifica disposizione riguardante i trattamenti sanitari rivolti ai minori:
«Il parere del minore è preso in considerazione come un fattore sempre più determinante, in funzione della sua età e del suo grado di maturità».
A supporto di tale disposizione interviene anche un’analoga previsione del Codice di deontologia medica che [fermo restando l’enunciato dell’art. 37: «il consenso agli interventi diagnostici e terapeutici deve essere espresso dal rappresentante legale»] prevede all’art. 38 che il medico, compatibilmente con l’età, con la capacità di comprensione e con la maturità del soggetto, ha l’obbligo di dare adeguate informazioni al minore e di tenere conto della sua volontà.
Anche il Codice deontologico degli infermieri [2009], riferendosi al consenso del minore, all’art. 31 stabilisce che
«l’infermiere si adopera affinché sia presa in considerazione l’opinione del minore rispetto alle scelte assistenziali, diagnostico-terapeutiche e sperimentali, tenuto conto dell’età e del suo grado di maturità».
Considerato che l’art. 2 c.c. fissa la maggiore età al compimento del diciottesimo anno, per delineare nel minore lo spazio più o meno ampio di autonomia che si ricollega al grado di maturità e di equilibrio raggiunti [che non necessariamente dipendono sempre dall’età anagrafica], generalmente e indicativamente si identificano tre fasce di età.
  • Nel minore non ancora quattordicenne [almeno fino al recente passato], si ritiene che questi non sia in grado, tranne eccezioni e situazioni particolari, di comprendere pienamente i significati e le problematiche sottese a un delicato intervento sanitario.
  • Nella fascia d’età compresa tra i quattordici e i sedici anni, riconoscendo a tali minori un’individuale capacità di agire, non è possibile non riconoscere adeguata rilevanza a una loro consapevole volontà espressa specie in caso di esplicito e fermo dissenso al trattamento sanitario proposto.
  • Dopo il compimento dei sedici anni, la volontà del minore assume una rilevanza quasi completa essendo già fondata sull’accentuato sviluppo delle capacità fisiche e psichiche.
Altro aspetto da considerare in tema di consenso informato è la sua acquisizione in caso di soggetto incapace. Nei pazienti che versano in uno stato d’incoscienza con impossibilità a essere interpellati, o in coloro che, per infermità mentale, non sussistano le condizioni per fornire e far comprendere le informazioni, si pone riferimento a una presunzione di consenso elaborata dal medico. Secondo l’art. 38 del Codice di deontologia medica, tuttavia, il medico
«deve tenere conto nelle proprie scelte di quanto precedentemente manifestato dal paziente in modo certo e documentato».
È ovvio che tale disposizione deontologica dovrà inevitabilmente raccordarsi con l’attuale elaborazione normativa, anche in Italia, del testamento biologico.

Esistono, comunque, in riferimento a tali soggetti, delle figure specifiche che hanno facoltà, in determinate situazioni, di prendere le decisioni in loro vece, come per esempio, l’amministratore di sostegno. Questo istituto giuridico è sorto nel 2004 al fine specifico di tutelare i diritti dei soggetti anche temporaneamente incapaci di prendere delle decisioni [non solo in campo sanitario], che, però, non necessitano di interdizione o inabilitazione.

Il medico, nel caso in cui sia stato nominato dal giudice tutelare un amministratore di sostegno, deve debitamente informarlo e tenere nel massimo conto le sue istanze [art. 37 del Codice di deontologia medica].

Consenso informato per comunità religiose


Senza dilungarci in troppi particolari, il medico vaccinatore dovrà confrontarsi anche con grandi questioni etiche poste dalle fondamentali verità di riferimento valide per quelle comunità religiose, come l’Islamica e dei Testimoni di Geova, la cui presenza è molto forte in Italia.

In tale contesto, il problema della corretta e adeguata informazione, con la successiva consapevole adesione del paziente alle scelte diagnostico-terapeutiche proposte e le sue conseguenti implicazioni sul piano etico, sociale ed economico, richiede un’attenta valutazione di tutti i suoi aspetti per potere conciliare l’intervento sanitario e i diritti fondamentali dell’individuo, con la teoria e la regola giuridica del consenso informato [con particolare riferimento alle suddette comunità].

Conclusioni


Si è presa come scusa una residua circolazione del morbillo dovuta a gravi errori di strategia che hanno permesso il building-up di soggetti suscettibili per gridare all’untore e cacciare le streghe, che muovono l’uno percento della popolazione interessata [indagini population based del 2002 e 2009-11], quando i cali vaccinali [e non solo] dipendono in larghissima misura dallo smantellamento dei servizi pubblici di base come centri vaccinali e consultori familiari, impoveriti di mezzi e personale e gravati di scorte di vaccini obsoleti a scarsa efficacia, soprattutto quando dovrebbero essere considerati per una strategia vaccinale seria.

Un’orda di impostori è riuscita a far approvare un provvedimento anticostituzionale, perché non c’è urgenza e non si possono imporre per Legge dei vaccini con scadenti capacità di stimolare il sistema immunitario, e di garantire immunità persistente, oltre che essere fonti di danno per le loro manifeste fallanze illustrate ampiamente in bibliografia scientifica.


 

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