giovedì 6 luglio 2017

Il multipolarismo: definizione e differenza tra i suoi significati


Ad oggi, non esiste ancora una teoria completa che definisca, da un punto di vista puramente scientifico, il concetto di mondo multipolare. In effetti, non troviamo alcuna traccia di tale teoria tra quelle classiche delle relazioni internazionali, e neppure tra le recenti teorie post positiviste.
Se ci si rivolge alla sfera della ricerca geopolitica, non ne troviamo alcuna traccia, anche se potrebbe essersi sviluppata in modo più flessibile e sintetico. Eppure di solito la ricerca geopolitica è aperta a questi temi, che nelle relazioni internazionali sono lasciati nell’ombra o sono trattati in modo troppo di parte.
Tuttavia, sempre più lavori in politica estera, politica globale, geopolitica e relazioni internazionali, sono dedicati al tema della multipolarità. Un numero crescente di autori cercano di capire e descrivere il multipolarismo come un modello, un fenomeno, un precedente o una possibilità.
Il tema della multipolarità è stato, in un modo o nell’altro, discusso nelle opere dello specialista di relazioni internazionali David Kampf nell’articolo “The emergence of a multipolar world” (L’emergenza di un mondo multipolare [1]), dallo storico Paul Kennedy della Yale University nel suo libro “The Rise and Fall of Great Powers” (Ascesa e declino delle grandi potenze [2]), dal geopolitico Dale Walton nel libro “Geopolitic and the Great Powers in the Twenty-first Century: Multipolarity and the Revolution in the Strategic Perspective” (La geopolitica e le grandi potenze nel XXI secolo: il multipolarismo e la rivoluzione nella prospettiva strategica [3]), dallo scienziato politico americano Dilip Hiro nel libro “After Empire: Birth of a multipolar world” ( Dopo l’impero. Nascita di un mondo multipolare[4]), e da altri.

Colui che riteniamo abbia meglio compreso il significato della multipolarità è lo specialista britannico di relazioni internazionali Fabio Petito, che ha cercato di costruire una seria e sostanziale alternativa al mondo unipolare sulla base dei concetti giuridici e filosofici di Carl Schmitt [5]. 
L’espressione “ordine mondiale multipolare” è anche menzionata più volte nei discorsi e nei testi di politici e giornalisti influenti. Così, il segretario di Stato Madeleine Albright, che in precedenza ha chiamato gli Stati Uniti “la nazione indispensabile”, ha dichiarato il 2 Febbraio 2000 che gli Stati Uniti non volevano “né stabilire né imporre” un mondo unipolare, e che l’integrazione economica aveva già creato “un mondo che potremmo designare come multipolare”. 
In data 26 gennaio 2007 nella colonna editoriale del The New York Times, è stato fatto esplicito riferimento a “l’emergere di un mondo multipolare”, al quale partecipa la Cina, che “ora siede intorno al tavolo con gli altri centri di potere come Bruxelles e Tokyo”. Il 20 novembre 2008, nel rapporto “Global Trends 2025” del National Intelligence Council degli Stati Uniti, era indicato che l’emergere di un “sistema mondiale multipolare” dovrebbe essere previsto entro i prossimi due decenni.
Dal 2009, il Presidente degli Stati Uniti Barack Obama è stato visto da molti come l’araldo di una “era multipolare”, credendo che egli avrebbe orientato la politica estera statunitense prioritariamente verso le potenze emergenti come Brasile, Cina, India e Russia. Il 22 Luglio 2009, il vice presidente Joseph Biden ha detto durante la sua visita in Ucraina: “Cerchiamo di costruire un mondo multipolare”.
Tuttavia, nessuno di questi libri, articoli o dichiarazioni contiene una definizione precisa del concetto di mondo multipolare né, del resto, una teoria coerente della sua costruzione. L’approccio più comune alla “multipolarità” consiste solo nell’affermazione che, nel processo di globalizzazione in corso, il centro indiscusso e il cuore del mondo moderno (gli Stati Uniti, l’Europa e il più ampio “mondo occidentale”) si trova ad affrontare nuovi concorrenti: emergenti o potenti poteri regionali e blocchi di potere appartenenti al “secondo mondo”. 
Confrontando i rispettivi potenziali degli Stati Uniti e dell’Europa, da un lato, e quelli delle nuove potenze emergenti (Cina, India, Russia, America Latina, ecc) dall’altro , sempre più persone sono convinte che la tradizionale superiorità dell’Occidente è relativa, e che v’è motivo di interrogarsi sulla logica dei processi che determinano l’architettura globale delle forze su una scala planetaria in politica, economia, energia, demografia, cultura, ecc.
Tutti questi commenti e tutte queste osservazioni sono essenziali per costruire la teoria del mondo multipolare, ma in nessun modo potranno compensarne l’assenza. 
Dovrebbero essere prese in considerazione durante la costruzione di una tale teoria, ma vale la pena notare che essi sono di natura frammentaria e incompleta; essi non sono nemmeno riusciti a raggiungere un livello base di generalizzazione concettuale e teorica.
Ma, nonostante questo, il riferimento a un mondo multipolare sta diventando sempre più comune nei vertici ufficiali, nelle conferenze e negli incontri internazionali. 
Riferimenti alla multipolarità appaiono in una serie di accordi internazionali [6] e nei testi relativi alla sicurezza nazionale e ai concetti di strategia di difesa di un numero di paesi potenti e influenti (la Cina, la Russia, l’Iran, alcuni paesi l’Unione europea). 
Pertanto, oggi è più importante che mai fare un passo avanti verso lo sviluppo di una teoria completa del mondo multipolare che dovrebbe soddisfare i requisiti di base del lavoro accademico.
La multipolarità non coincide con il modello nazionale di organizzazione mondiale secondo la logica del sistema westfaliano
Prima di procedere con precisione alla costruzione della teoria del mondo multipolare, dobbiamo delimitare strettamente la zona concettuale che studieremo. Per questo, dobbiamo considerare i concetti di base e definire quelle forme dell’ordine mondiale che non sono certamente multipolari e alle quali, di conseguenza, la multipolarità costituisce un’alternativa.
Iniziamo con il sistema westfaliano, che riconosce la sovranità assoluta dello Stato-nazione e che su questa base costruisce il campo giuridico delle relazioni internazionali. 
Questo sistema, sviluppato dopo il 1648 (la fine della Guerra dei Trent’anni in Europa), ha subito diverse fasi di sviluppo, e in qualche misura riflette la realtà oggettiva delle relazioni internazionali fino alla fine della seconda guerra mondiale. Esso è nato dal rifiuto delle rivendicazioni degli imperi medievali verso l’universalismo e la “missione divina” ed è andato a svilupparsi di pari passo con le riforme borghesi nelle società europee. 
Esso si basa anche sul presupposto che solo lo Stato nazionale è il titolare della più alta sovranità, e che al di fuori di esso, nessuna altra entità dovrebbe avere il diritto di interferire nella politica interna di detto Stato, indipendentemente da quali obiettivi e missioni (religiosi, politici o altro) lo guidino. 
A partire dalla metà del XVII secolo alla metà del XX secolo, questo principio ha determinato la politica europea e, di conseguenza, è stato applicato ad altri paesi del mondo, con alcune modifiche.
In origine, il sistema westfaliano è stato rilevante solo per le potenze europee e le loro colonie sono stati considerate semplicemente la loro continuazione, non possedendo il potenziale politico ed economico sufficiente per poter pretendere di essere una entità indipendente. È solo dall’inizio del XX secolo e durante la decolonizzazione, che lo stesso principio westfaliano è stato esteso alle ex colonie.
Il modello westfaliano assume la piena uguaglianza giuridica di tutti gli Stati sovrani. In questo modello, ci sono tanti poli decisionali di politica estera nel mondo quanti sono gli stati sovrani. 
Questa regola è sopravvissuta ed è ancora in vigore. L’intero diritto internazionale è basato su di essa.
In pratica, naturalmente, c’è disuguaglianza e subordinazione gerarchica tra i vari stati sovrani. Durante la Prima e la Seconda guerra mondiale, la ripartizione del potere tra le maggiori potenze mondiali ha portato a un confronto tra blocchi separati, dove le decisioni erano prese nel paese che era il più potente tra i suoi alleati nel blocco.
Dopo la seconda guerra mondiale e la sconfitta della Germania nazista e delle potenze dell’Asse, si è sviluppato un sistema bipolare di relazioni internazionali, denominato sistema di Yalta.
Legalmente, il diritto internazionale ha continuato a riconoscere la sovranità assoluta di qualsiasi stato-nazione ma di fatto le decisioni fondamentali su questioni centrali dell’ordine del mondo e della politica globale erano prese solo in due centri: a Washington e a Mosca.
Il mondo multipolare differisce dal classico sistema westfaliano dal momento che non riconosce ai distinti stati-nazione, legalmente e ufficialmente sovrani, lo status di poli a tutti gli effetti. 
Ciò significa che il numero di poli in un sistema multipolare dovrebbe essere significativamente inferiore a quello degli stati nazionali attualmente riconosciuti (e ancor di più, se usiamo la lista delle entità statali non riconosciute a livello internazionale). 
In effetti, la stragrande maggioranza di questi stati oggi non è in grado di provvedere autonomamente né alla propria sicurezza né alla propria prosperità in caso di un conflitto con una potenza egemonica (come quella degli Stati Uniti, come è chiaramente il caso nel mondo di oggi). 
Pertanto, essi sono politicamente ed economicamente dipendenti nei confronti di un’autorità esterna. Essendo dipendenti, non possono essere i centri di una volontà veramente indipendente circa le questioni di ordine mondiale.
Il sistema multipolare non considera l’uguaglianza giuridica degli Stati nazionali nel sistema westfaliano come necessariamente indicativo di una realtà fattuale, ma piuttosto come una semplice facciata dietro la quale si cela un mondo molto diverso, basato su un equilibrio di forze e capacità strategiche reale piuttosto che nominale.
Il multipolarismo opera in una situazione che esiste de facto piuttosto che de jure, e deriva dalla constatazione della fondamentale disparità tra stati-nazione nel mondo moderno che chiunque può osservare empiricamente. 
Inoltre, strutturalmente, questa disparità è tale che le potenze secondarie o terziarie non sono in grado di difendere la loro sovranità di fronte alla possibile sfida di una potenza egemonica, indipendentemente dall’alleanza di circostanza che si va configurando. Ciò significa che la sovranità è oggi una finzione giuridica.
Multipolarismo non è bipolarismo
Dopo la seconda guerra mondiale, si è sviluppato il sistema bipolare di Yalta. Esso ha continuato a insistere formalmente sul riconoscimento della sovranità assoluta di tutti gli Stati, il principio su cui è stato organizzato l’ONU e si è portato avanti il lavoro della Lega delle Nazioni. 
Tuttavia, nella pratica, erano due i due centri decisionali globali del mondo: gli Stati Uniti e l’URSS. Gli Stati Uniti e l’URSS erano due sistemi politico-economici alternativi, rispettivamente il capitalismo globale e il socialismo globale. La bipolarità strategica si basava dunque sul dualismo ideologico e filosofico: il liberalismo contro il marxismo.
Il mondo bipolare si è basato sulla simmetrica comparabilità della potenziale parità strategico-militare ed economica dei campi americano e sovietico in guerra. Al tempo stesso, nessun altro paese affiliato a un campo particolare ha mai avuto il potere di confrontarsi con quello di Mosca o di Washington. 
Di conseguenza, vi erano due potenze egemoni a livello globale, ognuna circondata da una costellazione di paesi satelliti alleati (dei vassali a metà, in senso strategico). In questo modello la sovranità nazionale, riconosciuta formalmente, perde il suo peso. 
Innanzitutto, i paesi associati a uno dei due egemoni dipendevano dalle politiche di quel polo. 
Perciò il detto paese non era indipendente, e i conflitti regionali (generalmente sviluppati in aree del terzo mondo) si evolvevano rapidamente in un confronto tra le due superpotenze che cercavano di ridistribuire l’equilibrio dell’influenza planetaria sui “territori di disputa”. Ciò spiega i conflitti in Corea, Vietnam, Angola, Afghanistan, ecc.
Nel mondo bipolare c’era anche una terza forza: il Movimento dei paesi non allineati. Esso consisteva in alcuni paesi del Terzo Mondo che si rifiutavano di fare una scelta inequivocabile a favore del capitalismo o del socialismo e che invece preferivano maneggiare tra gli interessi antagonistici globali degli Stati Uniti e dell’URSS. 
In una certa misura alcuni hanno avuto successo, ma la possibilità stessa di non allinearsi presupponeva l’esistenza di due poli, che in misura diversa si equilibravano. 
Inoltre, questi “paesi non allineati” non erano in alcun modo in grado di creare un “terzo palo” a causa dei principali parametri delle superpotenze, della natura frammentata e non consolidata dei membri del Movimento non allineato e della mancanza di una comune piattaforma socio-economica. 
Il mondo era diviso in occidentale capitalista (il primo mondo), Oriente socialista (il secondo mondo) e nel “resto” (il terzo mondo). Inoltre, “tutti gli altri” rappresentavano in ogni senso la periferia del mondo dove occasionalmente si manifestavano gli interessi delle superpotenze. 
Tra le superpotenze stesse, la probabilità di un conflitto era praticamente esclusa a causa della parità (in particolare nella garanzia della distruzione nucleare reciprocamente assicurata). 
Questo ha fatto sì che le zone privilegiate per la revisione parziale del bilanciamento del potere siano state i paesi periferici (Asia, Africa, America Latina).
Dopo il crollo di uno dei due poli (l’Unione Sovietica crolla nel 1991), anche il sistema bipolare crolla. Ciò ha creato le condizioni preliminari per l’emergere di un ordine mondiale alternativo. Molti analisti ed esperti di relazioni internazionali hanno giustamente parlato della “fine del sistema di Yalta”. 
Pur riconoscendo la sovranità, la pace di Yalta è stata de facto costruita sul principio dell’equilibrio dei due egemoni simmetriche e relativamente uguali. Con l’uscita di scena di uno degli egemoni dalla scena storica, l’intero sistema ha cessato di esistere. È arrivato così il momento di un ordine mondiale unipolare o di un “momento unipolare”.
Un mondo multipolare non è un mondo bipolare (come lo conoscevamo nella seconda metà del ventesimo secolo), perché nel mondo di oggi non esiste alcun potere che possa resistere da solo al potere strategico degli Stati Uniti e dei paesi della NATO, e inoltre, non esiste un’ideologia generalizzatrice e coerente capace di unire gran parte dell’umanità in una dura opposizione ideologica all’ideologia della democrazia liberale, del capitalismo e dei “diritti umani” su cui gli Stati Uniti ora basano una nuova ed unica egemonia. 
Né la Russia moderna, la Cina, l’India, o qualche altro Stato può fingere di essere un secondo polo in queste condizioni. Il recupero della bipolarità è impossibile a causa di ragioni ideologiche (la fine del richiamo popolare del marxismo) e tecnico-militari. 
Quanto a queste ultime, gli Stati Uniti e i paesi della NATO sono passati in vantaggio così tanto negli ultimi 30 anni che la concorrenza simmetrica con loro in ambito strategico-militare, economico e tecnico non è possibile per nessun paese preso singolarmente.
Il multipolarismo non è compatibile con un mondo unipolare
Il crollo dell’Unione Sovietica ha avuto un duplice effetto: da un lato, la scomparsa della simmetria tra le due superpotenze, dall’altro, la perdita di un campo organizzato intorno a una ideologia comune. Questa è stata la fine di una delle due egemonie mondiali. 
L’intera struttura dell’ordine mondiale è diventata, da quel momento, irreversibilmente e qualitativamente diversa. Il rimanente polo — guidato dagli Stati Uniti e sulla base dell’ideologia liberaldemocratica e capitalistica — è un fenomeno che resta tuttora pienamente valido e che ha continuato ad espandere il suo sistema socio-politico (democrazia, mercato, ideologia dei “diritti umani”) su scala globale. 
Questo è quello che precisamente chiamiamo un mondo unipolare o l’ordine mondiale unipolare. In un mondo del genere, c’è un singolo centro decisionale su questioni globali. 
L’Occidente e il suo nucleo, la comunità euroatlantica, guidata dagli Stati Uniti, si sono trovati nel ruolo dell’unica potenza egemonica ancora disponibile. 
In tale ambiente, l’intera superficie del globo è regionalizzata e può essere suddivisa in tre regioni (descritte in dettaglio nella teoria neomarxista di E. Wallerstein [7]):
• la zona centrale (o “il ricco Nord”, “il centro”),
• il mondo periferico (o “i paesi poveri del sud”, “periferia”), 
• la zona di transizione (o la «semi periferia», tra cui grandi paesi, che si stanno attivamente sviluppando verso il capitalismo: la Cina, l’India, il Brasile, alcuni paesi nel Pacifico, così come la Russia, che per inerzia conserva il suo importante potenziale strategico, economico ed energetico).

Negli anni ‘90 il mondo unipolare sembrava finalmente essere una realtà consolidata, e alcuni analisti americani, su questa base, hanno espresso la tesi della “fine della storia” [8] (Fukuyama). 
Questa tesi consisteva nell’idea che il mondo sarebbe diventato completamente omogeneo ideologicamente, politicamente, economicamente e socialmente, e che d’ora in tutti i processi che si verificano non saranno più un dramma storico basato sulla battaglia di idee e interessi, ma piuttosto una concorrenza economica (e relativamente pacifica) tra gli operatori del mercato, simile a quella che è stata la struttura politica interna dei regimi democratici liberali. 
Così, la democrazia diventa globale e il pianeta risulta composto solo dall’Occidente e dalla sua periferia, composta dei paesi che gradualmente si integrano in esso.
La concezione più accurata della teoria dell’unipolarismo è stata proposta dai neoconservatori americani, che hanno evidenziato il ruolo degli Stati Uniti nel nuovo ordine mondiale, a volte proclamando apertamente gli Stati Uniti come il “Nuovo Impero” (R. Kaplan [9]), o “la benevola egemonia globale” (U. Kristol, R. Keygan [10]), e anticipando l’offensiva del “Nuovo secolo americano” (Project for New American Century [11 ]). 
Con i neoconservatori, l’unipolarismo ha acquisito una base teorica. Il futuro ordine mondiale è stato visto come una costruzione concentrica attorno agli Stati Uniti, il cui nucleo, costituito dagli Stati Uniti, diventa l’arbitro globale e la personificazione dei principi della “libertà e democrazia”. 
Intorno a questo nucleo si struttura una costellazione di altri paesi, che replicano il modello statunitense con vari gradi di fedeltà. Essi si suddividono in base alla loro posizione geografica e al loro grado di somiglianza con gli Stati Uniti:
• in primo luogo, il cerchio interno: i paesi dell’Europa e il Giappone,
• in secondo luogo, i paesi liberali e fiorenti dell’Asia,
• infine, tutti gli altri.

Tutte queste zone, disposte attorno all’“America Globale” e su orbite differenti, sono inserite nel processo di “democratizzazione” e “americanizzazione”. La diffusione dei valori americani va in parallelo con la realizzazione pratica degli interessi americani e l’espansione della zona del controllo diretto americano su scala globale.
A livello strategico, l’unipolarismo si esprime nel ruolo centrale degli Stati Uniti all’interno della NATO e, ancor più, nella superiorità asimmetrica delle capacità militari combinate dei paesi della NATO su tutte le altre nazioni del mondo.
Parallelamente a questo, l’Occidente gode di una superiorità rispetto agli altri paesi non occidentali, in termini di potenziale economico, di livello di sviluppo dell’alta tecnologia, ecc. Ma ciò che è ancora più importante è che l’Occidente è la matrice in cui, storicamente, si è formato e si è istituito un sistema di valori e norme che sono oggi considerate come uno standard universale per tutti gli altri paesi il mondo. 
Questa situazione costituisce un’egemonia intellettuale globale che, da un lato, mantiene le strutture sociali e tecniche completamente sotto controllo, e che, dall’altro lato, costituisce il nucleo del paradigma dominante globale. L’egemonia materiale va in parallelo con l’egenomia spirituale, intellettuale, cognitiva, culturale e informativa.
In linea di principio, l’élite politica americana è guidata da questo approccio che è consapevolmente percepito come egemonico. Tuttavia, mentre questo è formulato in modo chiaro e trasparente dai neo conservatori, i rappresentanti di altre sensibilità politiche e ideologiche preferiscono espressioni più edulcorate ed eufemistiche. 
Negli Stati Uniti, anche le voci che criticano il mondo unipolare non contestano il principio della “universalità” dei valori degli Stati Uniti e nutrono al contrario la volontà di far accettare questi ultimi a livello globale. 
Le uniche obiezioni riguardano fino a che punto questo progetto è realistico nel medio e lungo termine, e se gli Stati Uniti sono in grado di sopportare da soli il peso dell’impero mondiale.
Le sfide poste a un tale dominazione diretta e aperta da parte degli Stati Uniti, che sembrava essere un fatto compiuto negli anni ‘90, hanno portato alcuni analisti americani (in modo particolare Charles Krauthammer, che ha introdotto il concetto) a formulare l’idea della fine del “momento unipolare”. [12]
Ma, nonostante tutto, è l’unipolarismo, in una forma o nell’altra, e in modo più o meno dissimulato, che è diventato la caratteristica strutturale dell’ordine mondiale dal 1991, e che rimane in vigore fino a oggi.
In pratica, l’unipolarismo si affianca al sistema westfaliano, che perdura simbolicamente, nonché ai resti inerziali del mondo bipolare. De jure, la sovranità di tutti gli stati-nazione è ancora riconosciuta, e il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite rispecchia ancora in parte l’equilibrio di potere corrispondente alla realtà della “guerra fredda”. 
Così, l’egemonia unipolare americana è presente de facto, mentre allo stesso tempo, un certo numero di istituzioni internazionali esprimono l’equilibrio che risale ad altri tempi e cicli nella storia delle relazioni internazionali. 
Le contraddizioni tra la situazione de facto e quella de jure riemergono costantemente, specialmente in occasione di interventi diretti di coalizioni costituite sotto l’egida degli Stati Uniti o dell’Occidente contro stati sovrani (a volte aggirando il veto posto contro queste azioni da parte del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite). 
In tali situazioni, come l’invasione americana in Iraq nel 2003, vediamo chiaramente un esempio di violazione unilaterale del principio della sovranità di uno stato indipendente, in totale contraddizione con il modello westfaliano. 
Questa violazione è accompagnata dal rifiuto di prendere in considerazione la posizione della Russia (Vladimir Putin) nel Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, e persino dal disprezzo di Washington per le proteste dei suoi partner europei della NATO (la Francia di Jacques Chirac e la Germania di Gerhard Schroeder).
I sostenitori più coerenti dell’unipolarismo (ad esempio, il repubblicano John McCain) sottolineano la necessità di un’applicazione dell’ordine internazionale in conformità con l’equilibrio reale delle forze. 
Essi propongono la creazione di un modello piuttosto diverso da quello delle Nazioni Unite, la “Lega delle Democrazie” [13], in cui la posizione dominante degli Stati Uniti, vale a dire l’unipolarismo, sarebbe tradotta giuridicamente. 
Un tale progetto mirerebbe a ratificare giuridicamente la struttura delle relazioni internazionali e l’egemonia statunitense nel post-Yalta, e quindi a legalizzare una struttura del mondo unipolare e lo status egemonico dell’“Impero Americano”. 
Si tratta di una delle possibili direzioni di evoluzione del sistema politico mondiale.
È assolutamente chiaro che l’ordine mondiale multipolare non solo è diverso da un sistema unipolare, ma ne è l’esatta antitesi. L’unipolarismo suppone una egemonia, e un centro del processo decisionale, mentre il multipolarismo differisce su questo punto in quanto si basa sull’esistenza di più centri decisionali, ciascuno dei quali non ha diritti esclusivi e quindi deve tener conto delle posizioni degli altri. 
Il multipolarismo perciò è un’alternativa diretta e logica all’unipolarismo. Non ci può essere compromesso tra le due opzioni: in base alle leggi della logica, il mondo o è unipolare o multipolare. 
Inoltre, la cosa importante non è come un particolare modello viene formalizzato giuridicamente, ma come viene creato de facto. All’epoca della “guerra fredda”, diplomatici e politici hanno dovuto, con riluttanza, riconoscere il “bipolarismo”, che era nei fatti. Dobbiamo quindi distinguere tra il linguaggio diplomatico e la realtà concreta. 
Nei fatti, bisogna riconoscere che l’ordine del mondo di oggi è unipolare. Si può discutere se questo modello è buono o no, se è al suo inizio o alla sua fine, se durerà a lungo o, al contrario, perirà rapidamente. Ma i fatti sono fatti. 
Oggi viviamo in un mondo unipolare. Il momento unipolare perdura ancora, anche se alcuni analisti ritengono che è arrivato alla sua fine.
Il mondo multipolare non è un mondo senza poli
Gli americani critici del rigido unipolarismo, in particolare i rivali ideologici dei neoconservatori, che si concentrano nel Council on Foreign Relations (CFR), hanno proposto un altro termine al posto dell’unipolarismo: la non polarità [14]. 
Questo concetto suggerisce che il processo di globalizzazione continuerà a svolgersi, e che il modello occidentale di ordine mondiale continuerà ad espandersi in tutti i paesi e in tutti i popoli della terra. 
Così, l’egemonia dell’Occidente sul piano intellettuale e dei valori perdurerà. Il mondo globale sarà il mondo del liberalismo, della democrazia, del libero mercato e dei diritti umani. Ma secondo i sostenitori di questa teoria, il ruolo degli Stati Uniti come potenza nazionale e nave ammiraglia della globalizzazione tenderebbe a diminuire. 
Invece di una diretta egemonia da parte degli Stati Uniti dovrà emergere un modello di “governo mondiale”, in seno al quale saranno presenti i rappresentanti dei diversi paesi, agendo in conformità con i valori comuni e impegnandosi a creare uno spazio socio-politico ed economico unificato in tutto il mondo. Anche in questo caso si tratta di una variante della “fine della storia” di Fukuyama descritta in termini differenti.
Il mondo non polare sarà basato sulla cooperazione dei paesi democratici, ma il processo di formazione dovrà includere gradualmente anche gli attori non statali: ONG, movimenti sociali, gruppi di cittadini separati, le comunità di rete, ecc.
La caratteristica principale nella costruzione del mondo non polare è la dispersione del processo decisionale da una entità (oggi Washington) ai molti corpi di livello inferiore, giù fino allo svolgimento di referendum planetari online sui principali avvenimenti e azioni che interessano tutta l’umanità.
L’economia sostituirà la politica e la libera concorrenza sul mercato mondiale spazzerà via tutte le barriere doganali nazionali. La sicurezza non sarà più la preoccupazione dello Stato, ma sarà lasciata ai cittadini. Sarà l’era della democrazia globale.
Questa teoria coincide, nelle sue caratteristiche principali, con la teoria della globalizzazione e sembra descrivere una fase successiva, che dovrebbe succedere al mondo unipolare per sostituirlo. 
Ma questo sarà possibile solo se il modello tecnologico ed economico (democrazia liberale) nonché il modello di valori socio-politici promosso oggi dagli Stati Uniti e dai paesi occidentali, diventerà un fenomeno universale. 
Solo allora gli Stati Uniti non dovranno più agire per proteggere e diffondere gli ideali democratici e liberali, il che implica che tutti i regimi che resistono all’occidentalizzazione, alla democratizzazione e all’americanizzazione vengano rimossi prima della comparsa questo mondo non polare.
Le élite di tutti i paesi dovranno essere simili, omogenee, capitalistiche, liberali e democratiche— in altre parole, “occidentali” — qualunque sia la loro origine storica, geografica, religiosa o nazionale.
Il progetto del mondo non polare è sostenuto da gruppi politici e finanziari molto potenti, dai Rothschild a George Soros e le sue fondazioni.
Questo progetto del mondo non polare è stato concepito per essere applicato in futuro. È stato pensato come un sistema globale che dovrà sostituire l’unipolarismo e succedergli. 
Rispetto a quest’ultimo, non costituisce quindi un’alternativa ma una continuazione. E questa continuazione sarà possibile solo quando il centro di gravità della società si sarà spostato con il passaggio dalla doppia egemonia su due livelli che conosciamo oggi — materiale (complesso militare industriale americano e l’economia e le risorse occidentali) e spirituale (norme, procedure, valori) — ad una egemonia puramente intellettuale, in concomitanza con la riduzione progressiva dell’importanza della dominazione materiale.
Questa è precisamente la società dell’informazione globale, in cui i principali processi di decisione e di dominazione saranno dispiegati nel campo intellettuale attraverso il controllo mentale, il controllo delle coscienze e la programmazione di un mondo virtuale.
Il mondo multipolare non può essere combinato con il modello del mondo non polare, perché esso non accetta l’idea del momento unipolare come un preludio all’ordine mondiale del futuro, né l’egemonia intellettuale occidente né l’universalità dei suoi valori, o la dispersione del processo decisionale in una molteplicità di attori sparsi in tutto il mondo, indipendentemente dalle preesistenti identità culturali e di civiltà. 
Il mondo non polare suggerisce che il modello di melting pot americano si dovrà estendere a tutto il mondo. Ciò porterebbe a cancellare tutte le differenze tra i popoli e le culture. L’umanità atomizzata e individualizzata sarebbe trasformata in una “società civile” cosmopolita, senza confini. 
La multipolarità, al contrario, implica l’esistenza di centri di processo decisionale ad un livello relativamente alto (senza tuttavia arrivare al caso estremo di un unico centro, come avviene oggi nelle condizioni del mondo unipolare) e che le caratteristiche culturali di ciascuna particolare civiltà debbano essere preservate e rafforzate e non si dissolte in una singola molteplicità cosmopolita.
La multipolarità non è il multilateralismo
Un altro modello di ordine mondiale, che si discosta dall’egemonia statunitense diretta, è quello di un mondo multilaterale (multilateralismo). Questo concetto è molto diffuso in seno al Partito Democratico americano ed è formalmente coerente con la politica estera dell’amministrazione Obama. Nel contesto dei dibattiti di politica estera degli Stati Uniti, questo approccio si oppone all’unipolarismo, che è preferito invece dai neoconservatori.
In pratica, il multilateralismo significa che gli Stati Uniti non dovrebbero intervenire nel campo delle relazioni internazionali, né affidandosi interamente alle sole proprie forze, né incaricando i suoi alleati e “vassalli” di arrivare in prima linea. 
Al contrario, Washington dovrebbe prendere in considerazione la posizione dei partners, essere in grado di convincerli e argomentare le proprie soluzioni attraverso un dialogo con loro, e portarli dalla propria parte attraverso argomenti razionali e, talvolta, proposte di compromesso.
In una tale situazione, gli Stati Uniti dovrebbero agire come “primus inter pares”, piuttosto che “dittatore tra i suoi subordinati”. Ciò impone alla politica estera statunitense alcuni obblighi verso gli alleati nella politica globale e esige l’obbedienza ad una strategia globale. 
La strategia globale in questo caso è la strategia dell’Occidente di stabilire la democrazia globale, il mercato globale e la diffusione dell’ideologia dei diritti umani su scala globale. 
Ma in questo processo, gli Stati Uniti, che occupano la posizione di leader, non dovrebbero equiparare direttamente i loro interessi nazionali con i valori “universali” della civiltà occidentale, in nome del quale agiscono. In alcuni casi sarà preferibile operare in una coalizione, e talvolta anche fare concessioni ai propri partner.
Il multilateralismo si differenzia dall’unipolarismo dall’enfasi sull’Occidente in generale, e soprattutto sul suo “valore” (cioè il componente “normativo”). A questo proposito, gli apologeti del multilateralismo convergono con coloro che sostengono il mondo non polare. 
L’unica differenza tra il multilateralismo e la non polarità sta nel fatto che il multilateralismo pone enfasi sul coordinamento tra i paesi democratici occidentali, mentre la non polarità include anche gli attori non statali in questa concertazione: ONG, reti, movimenti sociali, ecc.
È significativo che nella pratica, la politica del multilateralismo di Obama, come espresso più volte da lui stesso e dal Segretario di Stato Hillary Clinton, non è molto differente dall’epoca dell’imperialismo diretto e trasparente di George W. Bush, durante la quale dominavano i neoconservatori. 
Gli interventi militari statunitensi sono continuati (Libia) e la presenza delle truppe Usa nell’Iraq occupato e in Afghanistan è stata mantenuta.
Il mondo multipolare non coincide con l’ordine mondiale multilaterale, perché si oppone all’idea dell’universalismo dei valori occidentali e non riconosce la legittimità del “ricco Nord” — individualmente o collettivamente — ad agire per conto di tutta l’umanità e la sua pretesa di agire come unico centro decisionale sulle questioni più importanti della politica mondiale.
Riassunto
La distinzione tra il termine “mondo multipolare” e una serie di termini alternativi o simili ha permesso di delineare il campo semantico entro il quale continueremo a costruire la teoria della multipolarità. 
Fino a questo punto abbiamo parlato solo di ciò che l’ordine mondiale multipolare non è. Questo approccio consente di distinguere positivamente, per contrasto, un certo numero di suoi componenti e caratteristiche, inizialmente in modo approssimativo:
1. Il mondo multipolare è una alternativa radicale al mondo unipolare (che nei fatti esiste nella situazione presente) in ragione del fatto che esso insiste sulla presenza di un numero limitato di centri indipendenti e sovrani di decisioni strategiche globali a livello mondiale.
2. Questi centri dovrebbero essere sufficientemente attrezzati e indipendenti finanziariamente e materialmente per essere in grado di difendere fisicamente la loro sovranità nel caso di un’invasione diretta di un potenziale nemico con un livello di equipaggiamento equivalente a quello della più grande potenza esistente oggi. Concretamente, dovrebbero essere in grado di resistere all’egemonia finanziaria e strategico-militare degli Stati Uniti e dei paesi della NATO.
3. Questi centri di decisione non devono accettare l’universalismo di norme, valori e standard occidentali (la democrazia, il liberalismo, il libero mercato, il parlamentarismo, i diritti umani, l’individualismo, il cosmopolitismo, ecc.) e dovrebbero essere totalmente indipendenti dall’egemonia intellettuale e spirituale dell’Occidente.
4. Il mondo multipolare non implica un ritorno al sistema bipolare, perché oggi non c’è una forza, sul piano strategico o ideologico, che da sola possa resistere all’egemonia materiale e spirituale dell’Occidente moderno e al suo leader, gli Stati Uniti. Ci devono essere più di due poli in un mondo multipolare.
5. Il mondo multipolare non prende in seria considerazione la sovranità degli stati nazionali esistenti, dichiarata solo a livello puramente giuridico e non confermata dalla presenza di sufficiente potenziale strategico, economico e politico. Nel XXI secolo questa sovranità formale non è più sufficiente per consentire a uno Stato nazionale di affermarsi come entità autenticamente sovrana. In tali circostanze, la sovranità reale può essere raggiunta solo con una combinazione e coalizione di stati. Il sistema westfaliano, che continua ad esistere de jure non rispecchia più la realtà del sistema delle relazioni internazionali e necessita di una revisione.
6. La multipolarità non è né riducibile alla non polarità né al multilateralismo, perché non affida il centro del processo decisionale (il polo) né ad un governo mondiale, né al club degli Stati Uniti e dei loro alleati democratici (“l’Occidente”), né al livello delle reti sub-statali, organizzazioni non governative e altre entità della società civile. Un polo del processo decisionale deve essere localizzato da qualche altra parte.

Questi sei punti definiscono un quadro concettuale per ulteriori sviluppi e costituiscono un concentrato delle caratteristiche principali del multipolarismo. 
Tuttavia, sebbene questa descrizione ci spinge in modo significativo verso la comprensione di ciò che può essere la multipolarità, è ancora insufficiente a qualificarsi come teoria. Questa è solo una iniziale determinazione, a partire dalla quale sviluppare una teoria completa del mondo multipolare.


Note
[1] Kampf David, « The émergence of a multipolar world », Foreign Policy, 20 octobre 2009. https://foreignpolicyblogs.com/2009/10/20/the-emergence-of-a-multipolar-world/
[2] Kennedy Paul, The Rise and Fall of the Great Powers, Unwin Hyman, 1988.
[3] Walton Dale C., Geopolitic and the Great Powers in the Twenty-first Century. Multipolarity and the Revolution in the Strategic Perspective, Routledge, 2007.
[4] Hiro Dilip, After Empire. The Birth of a Multipolar World, Nation Books, 2009.
[5] Petito Fabio, « Dialogue of Civilizations as Global Political Discourse: Some Theoretical Reflections », The Bulletin of the World Public Forum ‘Dialogue of Civilizations’, vol. 1 no. 2, 21–29. 2004.
[6] Дугин А. Г., Геополитика Многополярного Мира, МОСКВА, 2012
[7] Wallerstein I., Geopolitics and Geoculture: Essays on the Changing World-system, Press Syndicate, 1991.
[8] Фукуяма Ф. Конец истории и последний человек. М.: АСТ, 2004. Trad. italiana: La fine della storia e l’ultimo uomo, BUR, 2003.
[9] Kaplan R.D., Imperial Grunts: On the Ground with the American Military, from Mongolia to the Philippines to Iraq and Beyond, Vintage, 2006.
[10] Fukuyama Francis, « After Neoconservatism », The New York Times Magazine, 19 febbraio 2006. http://www.nytimes.com/2006/02/19/magazine/after-neoconservatism.html
[11] http://www.newamericancentury.org/
[12] Krauthammer Charles, « The Unipolar Moment Revisited » ; National Interest, volume 70, pages 5–17, inverno 2002.
[13] McCain John, « America must be a good role model », Financial Times, 18 marzo 2008.
[14] Haas Richard N., « The Age of Nonpolarity. What Will Follow U.S. Dominance », Foreign Affairs, maggio/giugno 2008.

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